La questione del metodo (di Jaques Bonnet)

Un avvincente giallo storico in cui la filosofia si mette a servizio della giustizia in nome della verità. Un romanzo con due protagonisti indiscussi: un secolo di inquietudini e un filosofo che ha lasciato un segno indelebile nella Storia

Parigi. Quartiere latino. In una notte del glaciale dicembre 1582 il librario Nicolas Heucqueville viene barbaramente ucciso nella propria abitazione insieme a padre, sorella, moglie e figli. L’assassino ha lasciato una firma sibillina: un corvo morto e delle iscrizioni in italiano. Il commissario Dragon chiede aiuto a Giordano Bruno, a Parigi per ragioni di studio, di tradurre le parole tracciate col sangue. Quest’ultimo prende praticamente in mano le redini delle indagini, in concorrenza con l’investigatore ufficiale e con l’aiuto del giovane Hennequin che trascrive la cronaca del caso. L’acume del celebre filosofo non fallirà e l’enigma troverà la sua più compiuta soluzione.

L’identità dell’assassino e i moventi, indefettibile traguardo in ogni giallo che si rispetti, rivestono anche qui la consueta imprescindibile rilevanza. Ma in questo caso, più che mai, prima ancora che al risultato, merita forse porre attenzione al processo tramite cui ad esso si perviene.

In questa storia infatti l’indagine può dirsi tanto poliziesca, quanto filosofica, perché il maestro e l’allievo, sospinti da un fervido anelito alla verità, nell’investigazione trovano la più adeguata e inaspettata occasione per un’applicazione, una sorta di messa alla prova delle ricerche astratte di Giordano Bruno su questioni etiche, logiche o metafisiche. L’indagine vede altresì una sorta di bipartizione, di suddivisione di competenze, laddove il maestro usa gli strumenti logici che per tanti anni hanno alimentato le sue ricerche e suggerisce a Hennequin di verificare sul campo le ipotesi nate dalle sue deduzioni.

In merito alla costruzione del nostro duo investigativo, l’autore forse si è in qualche modo ispirato a Guglielmo da Baskerville e Adso da Melk. Tuttavia, i due personaggi – lungi dall’apparire come una pedissequa trasposizione delle figure dell’insigne filosofo e fedele allievo presentati nel celeberrimo romanzo che per molti versi rappresenta forse il capostipite del giallo storico – sembrano semmai a tutti gli effetti una loro originale rielaborazione.

La narrazione, alla pura suspense e ritmo teso e serrato, alterna momenti di riflessione e introspezione. Le discussioni e scambi di opinioni fra il maestro e l’allievo diventano terreno fertile per un’indagine e un confronto soprattutto in merito ai grandi temi della filosofia, quelli che da sempre hanno fatto sorgere un’inesauribile serie di domande e che forse mai troveranno una compiuta ed esaustiva risposta.

Il lettore ha così l’occasione, non solo di acquisire nuovi spunti di riflessione o porsi ulteriori e impensati quesiti su aspetti fondamentali dell’esistenza, ma anche di gustarsi un affresco vivace e profondo del secolo XVI, con tutte le sue inquietudini e contraddizioni. Gli è data soprattutto la possibilità di conoscere, sia l’inaspettata verità che sta dietro al brutale assassinio plurimo al centro della nostra storia, sia una versione quanto mai umana e coinvolgente del filosofo che forse più di ogni altro alla verità ha dedicato l’impagabile opera e vita, una professione di fede di cui l’ignominiosa morte costituisce l’estrema ed eclatante testimonianza.