Acqua Cheta (di Sara Guardascione)

Un bel giallo contemporaneo nel solco della grande tradizione che la omaggia e la rinverdisce

Un paese tranquillo, anche fin troppo. Tutti si conoscono bene. Ciascuno sa tutto di tutti in questo società di stampo antico, ancestrale, dove hanno una parte preponderante gli stretti vincoli di amicizia e parentela. L’olimpica quiete un bel giorno è però infranta dalla brutale uccisione di una giovane attrice. L’evento squarcia il sipario e dimostra che dietro l’idillico paesaggio da fiaba si nasconde il male più nudo e crudo. C’è un sospettato principale dell’omicidio (il fidanzato: anch’egli attore), che ben presto per la polizia diventa l’unico. Ma qualcuno è convinto che la dinamica degli eventi sia ben più complessa e che dietro il delitto si nascondano verità insospettabili. E alla fine dimostrerà di aver ragione.

Nonostante quanto fin qui detto, non siamo a St Mary Mead né in una amena località di campagna della Cornovaglia o del Devonshire. A indagare non troviamo Miss Jane Marple, immersa nell’atmosfera di tè pomeridiani e pettegolezzi, che alla fine inchioda l’assassino grazie alle confidenze di varie coetanee, un’innata arguzia e pragmatico buon senso. Né fa la sua comparsa Hercule Poirot per smascherare il colpevole nell’ultimo capitolo, dopo minuziose investigazioni, utilizzando nel migliore dei modi le sue impareggiabili “cellule grigie” e l’aiuto (spesso involontario) del fido capitano Hastings.

Ci muoviamo invece nell’Italia di oggi, dove – al posto di sfarzosi pranzi in dimore aristocratiche o partite di bridge – troviamo aperitivi, lounge bar, moderni reporter rampanti, social forum, blogger, influencer, un mondo in cui il traffico telefonico sullo smartphone di un sospettato può assumere un rilievo decisivo.

Poco alla volta si consolida una singolare accoppiata investigativa, costituta da una giovane giornalista e dal miglior amico del sospettato che – forte della sua esperienza di recitazione nelle cene con delitto – non esita a far uso di travestimenti a scopo d’indagine.

Il duo improvvisato all’inizio fatica a scalfire la spessa scorza di omertà, a penetrare oltre il muro invalicabile di connivenze, ma poi, con sempre maggior brio e consapevolezza dei propri mezzi, riuscirà nell’ardua impresa di raccogliere le necessarie informazioni, fare le debite deduzioni e risolvere quindi il mistero.

Il romanzo scorre fluido e allo stesso tempo mosso e tempestoso, come il mare che fa parte del teatro del delitto e riveste dall’inizio alla fine molto più che una mera ambientazione.

Il lettore si lascia trascinare dalle onde della narrazione, piange, ride, riflette, si diverte, sempre più s’incuriosisce e pretende di sapere tutta la verità. E l’autrice lo soddisfa pienamente. Nell’epilogo saltano fuori tutti gli antefatti, i moventi, la soluzione del raffinato rebus criminale, i motivi più reconditi della tragedia umana.

I topos della grande tradizione del giallo classico, evocati fin dall’inizio, vengono riadattati con garbo e misura. Il fascino del vecchio poliziesco d’annata non viene per niente meno. Anzi, in certo, può dirsi che rinverdisce. E il male (nella finzione come nella realtà) dimostra una volta di più di avere mille facce, di dimorare dove meno ci aspetta e che snidarlo è un’impresa ardua ma assai appagante quando giunge a compimento.