Urla nel silenzio (di Angela Marsons)

Orfani della giustizia. Quando la società civile è complice del crimine

Inghilterra. Black Country. Agghiaccianti delitti. Morti sospette. Un tentato omicidio. Uno scavo archeologico che qualcuno tenta di fermare. La scoperta nel sito di ossa umane. Vi è un collegamento fra le morti attuali e la scomparsa di alcune ragazze parecchi anni prima da un orfanotrofio che sorgeva vicino all’area degli scavi ed è stato poi distrutto da un incendio?

Un thriller inquietante dove le indagini scoperchiano un vaso di Pandora suscettibile di far emergere una lunga serie di virtuali cold case. Oscuri misteri che dal presente rimandano a un passato ancora più buio. Il convergere delle competenze di detective della polizia con quelle di medici legali e anatomopatologi. L’investigatrice protagonista della nostra storia, Kim Stone, che si dimostra fin da subito un poliziotto duro, refrattario alle regole, interessato al lavoro quanto indifferente a ogni prospettiva di carriera. Il passato di lei che riemerge a tratti nella sua memoria e nella sua turbolenta coscienza per rivelare diversi punti di contatto con gli antichi drammi da cui derivano i tragici eventi del presente.

Un romanzo ricco di suspense e colpi di scena, dal ritmo impeccabile, le atmosfere avvolgenti, una descrizione approfondita delle psicologie dei personaggi ma non fino al punto di rallentare troppo l’azione.

Potremmo dunque pensare di trovarci di fronte a un libro costruito con indubbia abilità ma in definitiva altrettanto convenzionale, denso di molti topos della narrativa poliziesca soprattutto contemporanea.

Si tratta sicuramente di una pregevolissima opera di artigianato letterario. E già questo è un incontestabile merito della scrittrice.

Oltre a ciò, nel nucleo più vero e originale del romanzo, si possono tuttavia rivenire anche altri elementi capaci di farne un libro che coinvolge il lettore realmente nel profondo, che lo incuriosisce perché lo indigna, lo entusiasma perché lo addolora. Difficile non appassionarsi a questa storia di diritti negati, non solidarizzare con adolescenti orfani o abbandonati, privi di insostituibili legami familiari, che si rivelano essere anche orfani della giustizia, di istituzioni che li hanno trascurati, di una società civile che ha finto di non vedere, permettendo che diventassero vittime di abusi ancora più atroci e irreversibili. Impossibile non affezionarsi a questa detective della polizia che alla fine riesce in qualche modo a tutelarli, a risarcirli, a restituire loro una eterna dignità, una postuma protezione.

Emerge in queste pagine un’eroina che potrebbe a prima vista sembrare una tipologia di personaggio già conosciuto, ma che in ogni caso si palesa dotata di originali e intriganti sfumature: una sorta di hard boiled del gentil sesso, dura, cinica, ma anche profondamente umana, vicina alle vittime, corazzata oltre che di coraggio anche di empatia, stimolata anche da un passato che le ha lasciato profonde ferite da rimarginare e col quale non ha mai fatto fino in fondo i conti.

Nell’epilogo la verità esce fuori in tutta la sua devastante brutalità, dimostrando che il male è seducente e ha molte facce, analogamente a un romanzo che intriga ma allo stesso tempo commuove e fa riflettere: quanto di meglio forse si possa chiedere a un libro.