Capolavoro assoluto di un genere. Emblema di un sotto-genere. Estrinsecazione di tutte le sfumature del mistero
Francia, Castello di Glandier, 25 ottobre 1892. Sui giornali appare la notizia di un sibillino tentato omicidio. La figlia di un noto scienziato, Mathilde Stangerson (che collabora col padre nell’ambito di importanti esperimenti) viene aggredita nella camera gialla: la sua stanza da letto. Da fuori vengono udite le urla della donna. Ma quando viene aperta la porta l’aggressore è sparito. Il luogo appare impenetrabile (porta e finestra, dotata di inferriate, sono chiuse dall’interno). Impossibile sembra anche la fuga dopo la commissione del delitto. Quando nella stessa tenuta verrà consumato anche un omicidio, l’enigma apparirà sempre più ingarbugliato e la polizia sempre più lontana dalla verità. Un giovane e arguto giornalista, Josef Josephin (soprannominato Rouletabille), prenderà in mano le redini delle indagini, anche se questo vorrà dire scontrarsi spesso con la celebre Surete, e dare l’avvio ad un vero e proprio duello con il suo più esimio rappresentante: l’ispettore Frederic Larsan. A termine di una sua meticolosa e appassionata investigazione, il nostro detective dilettante riuscirà a dare un senso a una serie di elementi via via rinvenuti (una pistola, un grosso osso di montone, un capello biondo di donna, un’impronta di scarpe e quella di un pacco di grosse dimensioni) e a giungere all’inaspettata soluzione (che rivelerà in occasione del processo al principale indiziato).
Il lettore, anche quello più smaliziato, non può non farsi coinvolgere da un rebus dai risvolti sempre più sorprendenti, non può non meravigliarsi delle insospettabili verità che via via emergono, non può non lasciarsi felicemente stupire da un epilogo clamoroso.
Come è possibile non appassionarsi alle gesta di un detective che in un’opera dei primi del novecento già anticipa molti aspetti di altri futuri famosi investigatori letterari? Come non pensare, anche in virtù dello stesso soprannome Rouletabille, derivante dalla “testa piccola e rotonda” del nostro eroe, ad un suo celeberrimo collega che all’epoca doveva ancora nascere? Come non sentir correre un brivido lungo la schiena leggendo (e soprattutto rileggendo dopo che si è giunti a termine del libro ed è stata svelata l’insospettabile verità) suggestive osservazione del sagace cronista del genere: “la signorina Stangerson conosce soltanto una metà dell’assassino; ma io conosco tutte e due le metà; conosco l’assassino per intero!” oppure “nel cerchio ho un personaggio che è doppio, vale a dire che impersona, oltre a se stesso, anche l’assassino!”?
Si delinea, poco alla volta, una narrazione che trasuda suspense ad ogni pagina, l’effigie di un capolavoro assoluto del giallo deduttivo e di un insuperabile enigma della camera chiusa. Non è un caso che anche alcuni fra i più insigni rappresentanti del suddetto genere e sotto-genere (fra gli altri, Agatha Christie e John Dickson Carr) ne abbiano riconosciuto espressamente l’inestimabile valore.
Siamo al cospetto di un’opera che può definirsi giallo, noir, poliziesco, gotico e anche un’anticipazione del thriller e del giallo giudiziario, che può essere accostata anche al romanzo d’avventura o all’ottocentesco feuilleton, che si colora di tutte le sfumature del mistero, le fa convivere tra loro, le sintetizza e sembra addirittura trascenderle.