Scrivo solo dopo il rum (di Antonio Di Costanzo)

Un noir ironico e amaro. Un giornalista scanzonato, irriverente e malinconico. Una città ferita dal malaffare, le speculazioni edilizie, i maneggi vari e tuttavia capace di rivelare il suo cuore più autentico e inimitabile

Jacopo Fernandez è un cronista semi-alcolizzato, emigrato a Napoli dall’Abruzzo. E’ un perdente di professione, con alle spalle un matrimonio naufragato e velleità di diventare un grande scrittore. La sua esistenza è quotidianamente costellata di vicende tragicomiche. Abita in uno squallido monolocale dove gli fa compagnia Nerone: un insopportabile gatto orbo. Poco interessato al denaro e alla fama, trascorre le sue giornate in redazione cercando di scansare il lavoro. La notte la sua anima più genuina emerge per guidarlo a bordo della sua vecchia auto scassata per locali e bettole alla ricerca di donne ben disposte e peculiari contatti umani. Questa esistenza oscura è rischiarata dall’amicizia e protezione del vicequestore Salvatore Costante, da lui ribattezzato Bloch, e dall’avvocata Federica “salviamoilmondo” Guglielmi, il suo grillo parlante, paladina delle cause perse, che lo coinvolge nelle sue crociate. La sua vita ha in certo modo trovato un suo punto di equilibrio. Ma un giorno viene sconvolta da uno strano caso di tentato omicidio e di suicidio dietro cui potrebbe nascondersi un raffinato assassinio di cui lui è il primo sospettato. Dopo una serie di peripezie, tra le quali il ricovero in un ospedale da cui è costretto a una fuga rocambolesca per evitare l’arresto e una breve vacanza da latitante nella sua città natia dove sembra recuperare sé stesso e le sue radici, alla fine il mistero verrà svelato e la sua precaria esistenza potrà ritrovare la sua instabile normalità.

Il libro scorre con fluidità e leggerezza. Si lascia piacevolmente leggere tutto d’un fiato. E’ contraddistinto da un’ironia pungente, un cinismo spudorato, colorato da una comicità che assume spesso la sfumatura del grottesco. Fin dalla prima pagina. Dallo stesso titolo. In esso si condensa un messaggio, un’atmosfera, un indizio, una dichiarazione d’intenti, palesemente esplicitata nel prologo con queste parole: “L’uomo crea, lavora e ama per occupare il tempo. Poi combatte, odia e uccide per difendere quello che ha ottenuto e che ha paura di perdere. E’ la sua condanna per vincere la noia.”

Jacopo Fernandez si (e ci) trascina con noncuranza e trascuratezza nelle sue giornate da pennivendolo maledetto e nelle sue nottate da irrecuperabile bohemien. Le sue inchieste giornalistiche, consistenti in effettive investigazioni poliziesche, si muovono in un sottobosco di malavitosi, speculatori, maneggioni e politici corrotti. E lui non può non considerarsi un parente stretto di Philip Marlowe e gli altri celebri detective del genere hard-boiled, una sorta di loro riedizione partenopea. Condivide con loro la stessa aura di ontologica malinconia, di invincibile disincanto, di malsano esistenzialismo, il medesimo (forse un po’ nascosto ma altrettanto sostanziale e irrinunciabile) anelito alla giustizia.

Oltre al protagonista, ad animare questo romanzo intenso e spumeggiante, troviamo una galleria di personaggi originali e intriganti (a partire da Dimitri: clochard con l’animo del poeta che dorme nell’auto del nostro giornalista): maschere tragiche, comiche, grottesche, ciascuna dotata di una sua intrinseca verità e di una carica di profonda umanità.