Red planet blues (di Robert J. Sawyer)

Avvincente thriller distopico. Originale giallo fantascientifico. Un romanzo in cui si possono vedere parallelismi con capolavori di maestri della science fiction e del noir. Un libro che emoziona e fa riflettere. Una vivida allegoria del presente nella quale sembrano proiettarsi inquietanti scenari futuri

New Klondike è una colonia marziana (dentro cui si dipartono dodici strade radiali che tagliano nove anelli concentrici di edifici sotto una grande cupola) nata dalla nuova corsa all’oro del futuro: la caccia ai fossili. Si tratta di una città in rovina in cui vive una schiera eterogenea di persone: cercatori falliti, poliziotti pigri e corrotti, senzatetto (colpevoli di non aver pagato la “tassa per il supporto vitale”) e “trasferiti”: ricchi che si sono sottoposti a un trasferimento della propria coscienza in androidi artificiali praticamente immortali. Alex Lomax è un detective privato che un giorno riceve l’incarico da parte di una donna affascinante di ritrovare il marito scomparso. I due gestiscono una società che vende i nuovi corpi sintetici per i “trasferiti”. L’investigatore s’imbatte in inquietanti casi di “copie pirata” della coscienza. Gli eventi lo portano anche a indagare su di un mistero vecchio di quarant’anni: l’omicidio dei due esploratori che scoprirono i primi fossili marziani. Un diario perduto potrebbe portare sulle tracce di un leggendario giacimento di fossili e a scoprire una verità sepolta sotto strati di inganni e avidità che – via via che Lomax scava – sembrano sul pianeta rosso essersi ingigantiti e non aver mai fine.

Il libro coinvolge dall’inizio alla fine. La suspense e la tensione sono assicurate in pieno, come nei miglior thriller e romanzi di avventura. La narrazione è disseminata di una lunga serie di colpi di scena e di un epilogo che non delude, come nei gialli più riusciti.

L’autore riesce ad amalgamare sapientemente vari autori e opere che hanno fatto la storia sia del genere poliziesco sia di quello fantascientifico.

Alex Lomax, fin dalle prime righe, non può richiamarci alla mente Philip Marlowe e gli altri celebri detective del genere hard-boiled. Condivide con loro la stessa aura di ontologica malinconia, di invincibile disincanto, di malsano esistenzialismo, il medesimo (forse un po’ nascosto ma altrettanto sostanziale e irrinunciabile) anelito alla giustizia.

I “trasferiti” rimandano per molti aspetti al genere cyberpunk. Ma potrebbero far pensare altresì ai robot umanoidi di Asimov, in virtù soprattutto dell’incredibile perfezione tecnologica che esprimono. Allo stesso tempo, sembrano candidarsi come parenti stretti degli androidi che abitano gli universi distopici di Dick: troppo simili agli umani (i “biologici” del nostro romanzo) per non confonderli con esso, riprogrammati con memorie fittizie e ambigue.

Ma il vero protagonista della nostra storia è forse la coscienza. Il mondo (quello di oggi nella realtà come quello di domani nella finzione fantascientifica) appare sempre più avveniristico e sembra semplificare per molti aspetti la vita. Eppure la coscienza pare per certi versi farsi sempre più ambigua e sfuggente. Questo affascinante romanzo mette al centro quella che da sempre è una questione filosofica fondamentale. E lo fa seducendo il lettore e allo stesso tempo stimolandolo a riflettere. Perché un bel libro è un’ottima un’occasione per intrattenersi e spesso anche per interrogarsi.