L’ultimo brontolio del motore che collassava lo convinse rapidamente a lasciare l’auto lì nel buio di un dicembre umido e ventoso. Non ne poteva più Nino di restarsene buono nella scatola di latta che lo portava a giro da un’eternità a mostrar troppi campionari e a concludere troppi pochi contratti.
Nessuno cui chiedere, in quell’oscurità dispersa e frammischiata a strade anonime e incroci indecifrabili. Sopraggiunse un’auto a velocità sostenuta, e Nino provò a urlargli qualcosa, ma fu solo una sorta di riflesso condizionato, l’ultimo che poté concedersi prima dell’inaspettato vicolo senza sfondo e poi quell’edificio dotato di finestre sprizzanti un lucore in grado di penetrare nebbia e buio. Sopra l’ingresso, una scritta leggibile quando bastava perché lui, un istante prima di arpionare il dito intirizzito al campanello, riuscisse a sillabare la parola “albergo”.
– Desiderate, signore? – giunse da un punto difficile a localizzarsi in quell’atrio immerso in una penombra di luci soffuse e un odore vagamente acre, quasi asfissiante, ma dal retrogusto gradevole.
– Proprio una stagione inclemente, signore! –
Anche questa frase scivolò innocua su Nino intento a calpestare con passo felpato la presumibile consistenza di moquette.
– Ma voi non state affatto bene … – la voce s’interruppe, e Nino pensò che stesse per offrigli un cordiale, o altro obsoleto luogo comune.
Nino si lasciò cadere su una poltrona larga e avvolgente. Voleva solo riprender fiato, sempre più anestetizzato da una voce, indecifrabile anche nel sesso, che sembrava appartenere alla tv, o magari a un pappagallo, e che risuonava da una coltre di penombra che si ostinava a difenderne l’identità.
– Vedrà che la riscalderà. –
Nino pensò al luccichio scoppiettante, che improvvisamente notò arrivare da un angolo del salone, consueto contorno dei caminetti; ed invece l’Essere Penombra doveva riferirsi piuttosto ai due piccoli cilindri scintillanti che spuntarono dalle sue mani.
– Guardi che qui c’è un equivoco! –
Nino si stupì un poco della propria voce, improvvisamente arrochita, incolore … e che sembrava anch’essa aderire a quel gioco di stereotipi.
– Si tratta di un liquorino confezionato con le sue proprie mani da un mio zio abate di un noto convento della vallata adiacente …–
– Io pensavo si trattasse di un albergo – replicò Nino, nonostante la stanchezza, con tutta l’energia necessaria per interrompere la futile dissertazione stile documentario.
– Ha forse qualche importanza? –
– Il fatto è che ho letto … si là fuori … proprio sopra l’ingresso … – asseriva Nino, mentre imitava l’altro nel sorbire il liquido fosforescente e ambrato, con una convinzione decrescente col dischiudersi di quel sorriso.
– E lei, mio caro, si fida così biecamente delle apparenze?! –
Nino non poté ribattere, perché il fuoco sarebbe stato niente a confronto del liquorino dello zio che sprigionava fuoco, oltre che un sapore vagamente acre, quasi asfissiante … al pari dell’odore che impregnava l’aria.
– Vi stavo testé illustrando di questo mio zio abate di un istituto religioso … molto rinomato, sa … pensi che un nostro comune trisavolo era discendente in linea diretta … –
– La smetta, la prego! – esclamò Nino con tutta l’intenzione di sbottare, ma riuscì solo a blaterarlo con uno sforzato filo di voce. Era ormai troppo spossato … e soprattutto impressionato da quel sapore che, sempre analogamente all’odore, rivelava altresì un retrogusto gradevole.
– Perché si ostina a rifiutare una conclusione così semplice, e in definitiva direi anche onorevole? –
Adesso l’Essere Penombra era illuminato da un baluginare che esplodeva in parallelo con echi di scoppiettii.
– Pensi che quello stesso zio abate un giorno, nonostante tutte le incombenze che il suo sacro uffizio gli addossava, pensò bene di recarsi in questa contrada, e proprio – sapete a fare cosa? – per farmi assaggiare … –
– Il liquorino … è tutta colpa sua … –
– Eh, no è tutta colpa vostra, mio caro. Io cerco solo di addolcirvi la fine, con i più gradevoli odori, i più gradevoli sapori … –
– E’ come un sogno … anzi, un incubo … –
– Vi farebbe comodo, eh, mio caro? Non posso certo dirvi che ve la caverete pagando pernottamento, con bagno in camera, prima colazione, qualche extra, il tutto per una modica cifra. –
Nino provò ad alzarsi, ma si scoprì il corpo improvvisamente immobile al pari di un blocco di cemento.
– Né posso far finta, solo per colpa di un vostro immotivato capriccio, che questo sia un albergo a quattro stelle, io un onesto albergatore e voi un impeccabile cliente. –
Nino provò ad urlare, ma ormai la sua bocca già più non riusciva ad articolare neppure un suono.
– Dovete capire l’istrionismo fallito … la guittezza incallita … un ruolo da interpretare per troppe insulse e prevedibili repliche … che mi si è attaccato addosso peggio della peste … ed io, come una sanguisuga, addosso a questo set in libero disfacimento … –
Nino provò a respirare, ma anche l’aria alla fine aveva voluto abbandonarlo.
– Ma non vi preoccupate, l’ultimo spettacolo non si nega mai a nessuno. –
Nino provò allora semplicemente a vivere, la cosa in fondo più difficile, quella che mai in vita sua gli era riuscita … e che neppure adesso gli riuscì.
Da fuori, invece, si poteva vivere l’attimo dello spettacolo promesso dall’ex Essere Penombra all’ex Nino.
In seguito, qualcuno avrebbe parlato di una ordinaria esplosione, qualcun altro avrebbe precisato trattarsi di fuoco e botti … né sarebbe mancato – del resto si era nel pieno delle festività natalizie – chi avrebbe pensato a un gigantesco Presepio o Albero di Natale che, esasperato dall’irrefrenabile aumento del periodo temporale e del tasso consumistico, come un’insolita supernova, nell’esiguo spazio di un istante, si espandeva per poi collassare.