Presunto colpevole (di Scott Turow)

Un felice e inaspettato ritorno. Un appassionante legal thriller. Un avvincente giallo. Un’accurata descrizione dell’ambiente giudiziario con tutti i suoi pregi e difetti, limiti e contraddizioni. Il ritratto e allegoria di una realtà sempre perfettibile ma che continua a sprigionare un fascino inesauribile

Rusty Sabich nella sua lunga vita e carriera è stato viceprocuratore, giudice, avvocato difensore, imputato, condannato e anche detenuto. Adesso si gode la pensione con la sua compagna Bea in una bella casa sul lago nel Midwest. La loro tranquilla esistenza viene improvvisamente sconvolta dalla sparizione di Aaron, il figlio adottivo di Bea: un ragazzo nero ventenne che ha avuto guai con la giustizia per questioni di droga ed è in libertà vigilata e che se non tornerà a casa andrà in carcere. Un giorno il giovane riappare, raccontando in modo piuttosto confuso di essere stato in campeggio con Mae, la sua avvenente e ribelle ragazza, e di essersene andato lasciandola sola nel bosco dopo una litigata furibonda. Di Mae si sono perse le tracce. Iniziano le ricerche, che purtroppo terminano dopo un paio di settimane con la scoperta del suo cadavere. Tutti i sospetti ricadono su Aaron che viene accusato di omicidio di primo grado e arrestato. Nonostante gli indizi a suo carico appaiano schiaccianti, la madre adottiva crede nell’innocenza del figlio e alla fine convince il suo compagno – all’inizio riluttante – a diventare il suo avvocato difensore. Potrà quello stesso sistema giudiziario a cui Rusty ha dedicato la sua intera esistenza a garantire un’effettiva giustizia anche in questo caso in cui tutte le apparenze giocano contro chi secondo la costituzione americana porta dentro di sé il gene della presunzione di innocenza?

In questo sua ultima fatica letteraria, Scott Turow ci fa ritrovare con sorpresa e meraviglia, dopo quasi quarant’anni (nella vita del personaggio così come nella nostra di lettori), quello stesso Rusty Sabich, impareggiabile protagonista di Presunto innocente: meritato successo dapprima editoriale e poi cinematografico nella raffinata trasposizione di Alan J. Pacula e con la convincente interpretazione di Harrison Ford.

Siamo di fronte a un encomiabile legal thriller, dove sono esaurientemente ritratti il mondo giudiziario, con un alto grado di accuratezza e realismo – proprio di un autore che ha frequentato per una vita l’ambiente – in relazione anche alle dinamiche, alleanze, dissapori e conflitti che vengono a crearsi fra avvocati, clienti, giudici e chiunque si ritrovi per le più disparate ragioni a scendere in questa arena.

I due titoli di questa dilogia sembrerebbero dar luogo a una dicotomia. Ma a ben vedere pare piuttosto trovarsi di fronte a due facce della stessa realtà, due diverse angolazioni dello stesso complesso sistema giudiziario, all’interno del quale l’effettiva portata della presunzione di innocenza deve misurarsi in un campo di battaglia delimitato dai labili confini fra verità e menzogna, dove la giustizia troppo spesso rischia di soccombere allo spettacolo, l’imparzialità ai pregiudizi tenacemente radicati nella società.

La storia è caratterizzata da un susseguirsi di colpi di scena e sfocia in un epilogo sorprendente, sia dal punto di vista processuale sia per quanto riguarda la soluzione del delitto: due aspetti che in un legal thriller d’alta scuola costituiscono due profili inscindibili di una stessa coinvolgente narrazione.