Il fascino del Sol Levante irrompe sinistro in una dependance per regalarci un magnifico enigma della camera chiusa
Il delitto della camera chiusa si potrebbe forse considerare il sottogenere per antonomasia del giallo deduttivo, fra i cui più insigni maestri possiamo annoverare nomi come quelli di Ellery Queen o John Dickson Carr. Un sottogenere che, come lo stesso genere poliziesco, si potrebbe far risalire addirittura a un celeberrimo racconto di Edgar Allan Poe.
Cosa può succedere quando la perizia e l’immaginazione trasferiscono – dopo un ideale ma non irrilevante viaggio spaziotemporale – questo peculiare tipo di enigma letterario dalle aristocratiche dimore vittoriane della verde Inghilterra degli anni trenta (dove ha forse trovato la maggiore e migliore parte delle sue ambientazioni) nel Giappone del secondo dopoguerra all’interno della dependance della residenza di una famiglia di novelli shogun?
La sfida possiamo dire che si fa da subito estremamente intrigante.
La circostanza poi che il nostro (duplice) delitto avvenga poche ore dopo che si è celebrato un matrimonio, così come il fatto che la coppia di novelli sposi sia direttamente e tragicamente coinvolta, non possono che far salire immediatamente l’asticella del pathos e della suspense.
Ricordiamo che l’archetipo dell’enigma della camera chiusa è l’indagine intorno a un delitto compiuto in circostanze apparentemente impossibili generalmente perché scoperto in una stanza chiusa dall’interno. Ed è quando succede anche nel caso di omicidio intorno a cui ruota la nostra narrazione. Se agli inquirenti pare possibile fare delle ipotesi, più o meno fondate, su come e quando l’assassino sia penetrato in maniera indisturbata nel futuro luogo del delitto, costoro non riescono tuttavia a comprendere in che maniera sia stato capace di uscirne senza lasciare tracce visibili del suo passaggio.
Quale topos dell’ambito letterario in cui ci muoviamo non poteva mancare, quando la polizia brancola nel buio e il caso sembra che abbia tutte le carte in regola per finir chiuso come omicidio a carico di ignoti, l’ingresso in scena, più o meno casuale, di un detective non ufficiale. Nel nostro caso si tratta di un investigatore privato dalle insolite caratteristiche: sciatto, trasandato (per certi versi un nipponico tenente Colombo ante litteram), addirittura balbuziente. Però, quando si tratta di tirare le fila del ragionamento, costui dimostra la consueta sagacia nello sbrogliare l’intricata matassa dei più celebri e arguti detective letterari, la loro stessa intramontabile capacità di non deludere mai il lettore.
In mezzo agli elementi tipici, se ne ravvisano altri forse più inconsueti ma altrettanto efficaci, quali una lettera per cui qualcuno usa la beffarda definizione di “preavviso di omicidio”, oppure il riferimento nella enigmatica corrispondenza ritrovata a un’isola in cui risiederebbe in qualche modo l’antefatto del brutale crimine al centro dell’indagine.
Non può certo mancare il fascino del Sol Levante, riferimenti alle millenarie tradizioni, all’imprescindibile senso dell’onore, al peculiare modo di estrinsecazione dei rapporti sociali, umani e familiari. Il delitto ha colorato questa atmosfera di un’aura sinistra e oscura. Ma l’abile stoccata del nostro eccentrico eroe riesce a rischiararla, illuminando il lettore con verità impensabili che offrono l’esauriente soluzione di un enigma apparentemente inspiegabile.