Quando un ordinario e innocuo appuntamento settimanale diventa un rendezvous con un destino straordinario e crudele
Una donna, attraente e benestante, scompare. Non fa ritorno a casa dopo essere partita in treno dalla ricca provincia del Nord Italia alla volta di Milano, dove tutti i giovedì va a trovare la figlia in collegio. Le ricerche della polizia portano a scoprire probabili infedeltà coniugali. Il marito avvocato sporge contro la moglie sospetta fedifraga una denuncia per abbandono del tetto coniugale. Il solerte commissario incaricato delle indagini raccoglie consistenti indizi che gli fanno sospettare il peggio. Ma si sa che l’omicidio per considerarsi consumato ha bisogno di un movente e di un cadavere. E, se quanto al primo si possono elaborare ipotesi più o meno fondate, del secondo non si scorge traccia. Finché le ricerche della bella signora, interrotte per assenza di risultati e poi riprese sulla base di un’intuizione, non portano a una macabra scoperta.
La storia è intrisa da subito di una palpabile tensione narrativa. Fin dalle prime pagine, si comincia a respirare un’atmosfera di angoscia, sottile ma persistente. Il tema della tranquilla realtà borghese di provincia che, come il sipario di un teatro, all’improvviso si squarcia per far vedere al pubblico allibito sconcertanti retroscena, è già di per sé coinvolgente. Ciò che non si vede spesso impressiona più di quanto non lo facciano i dettagli messi in bella mostra nella maniera più cruenta. Lo sapeva bene Hitchcock. E Piero Chiara ci fa capire di aver in certo modo fatta sua la lezione. Le ipotesi che via via si rincorrono – fuga (d’amore?), suicidio, omicidio tentato o consumato – contribuiscono ad alimentare la suspense, così come i sospettati che si affacciano sulla scena e poi vengono scartati, tenuti in serbo o di nuovo ripresi in considerazione.
L’autore dimostra di conoscere bene le tecniche del giallo deduttivo, dando vita, in questo romanzo breve, a un intrigo di raffinata complessità, una girandola di colpi di scena che sorprendono il lettore fin nelle ultime pagine, con un epilogo capace di meravigliare gli appassionati del genere e forse ancor di più coloro che tali non si possono considerare.
Giovano ulteriormente al quadro d’insieme certe contaminazioni, un modo elegante di riprendere e aggiornare topos e suggestioni letterarie, di ripercorrere, con originalità e senza alcunché di pedissequo, le strade già battute con esiti impareggiabili da maestri indiscussi quali Simenon (il nostro commissario può rievocare sotto alcuni profili il suo più celebre collega francese) e Pirandello (per il posto di rilievo che sembra occupare il tema dei caratteri e delle passioni umane). E crediamo che non si possano neppure escludere accostamenti con altri mostri sacri della letteratura, sui quali qui – per i motivi che il lettore può comprendere alla fine del libro – è consentito fare solo un fugace accenno. Si pensi a Gadda, soprattutto per quanto concerne il profilo dell’intrigo poliziesco. E forse si può avvertire anche il riverberarsi di certi echi kafkiani, a partire da una frase suggestiva ed emblematica: “La giustizia è un robot senza cuore né intelligenza: colpisce a seconda della carica che ha avuto”.