Un giallo avvincente e ben congegnato. Un romanzo ironico e nostalgico. Un toccante atto d’amore verso la Città Eterna e la settima arte
Il commissario Giovanni Buonvino, fresco di nomina, dopo aver vissuto anni di purgatorio per uno sfortunato quanto grave errore che ha compromesso la sua carriera, viene assegnato come primo incarico presso il neo-costituito commissariato sito in Villa Borghese: immenso parco che racchiude al suo interno musei, teatri, ludoteche, chiese, un Bioparco e non ultima la Casa del Cinema. L’entusiasmo per la tanto agognata promozione viene tuttavia presto quasi vanificato dalla scoperta di una serie di cadaveri orrendamente straziati e persino decapitati. Il commissario ha a disposizione un’improbabile e malmessa squadra di poliziotti da lui sarcasticamente (o forse ottimisticamente) ribattezzati “i magnifici sette”. L’indagine si palesa fin da subito particolarmente difficile, anche a causa di un’oppressiva attenzione mediatica. Ma l’arguzia e la tenacia permetteranno alla fine a Buonvino di sciogliere l’intricato enigma, fare giustizia per le sventurate vittime e restituire la pace al meraviglioso angolo di verde, arte e cultura che costituisce uno dei simboli dell’Urbe.
Walter Veltroni dà vita a un romanzo giallo che costituisce il suo esordio nel genere. Ciononostante l’opera esprime tutta la maturità di chi conosce bene la narrativa poliziesca, la letteratura in generale, la propria città (di cui l’autore, ricordiamo, è stato anche primo cittadino), di chi ha partecipato con passione in prima persona a una stagione politica importante del nostro Paese.
Il libro appassiona e trascina il lettore dalla prima all’ultima pagina, scorre fluido, leggero, anche quando, non di rado, affronta problemi importanti, dà conto di tragici eventi o di situazioni umane penose.
Il romanzo è teso, dal ritmo serrato, intriso di suspense. La trama è costellata di innumerevoli colpi di scena, soprattutto nel finale dove il giallo d’alta scuola – come è questo – ci insegna una volta di più che niente è come sembra, con una soluzione inaspettata ma allo stesso tempo coerente con gli indizi sapientemente disseminati dall’autore nel corso della narrazione.
La narrazione è cosparsa di abbondanti dosi di ironia e talora si libra sulle ali della nostalgia senza tuttavia lasciare mai spazi a rimpianti per il passato.
A coinvolgere il lettore è anche e forse soprattutto la dichiarazione d’amore che l’autore rivolge alla sua città, la minuziosa e sentita descrizione del Parco di Villa Borghese e delle innumerevoli bellezze e attrazioni che ne fanno parte.
Né si può rimanere insensibili ai riferimenti musicali e soprattutto alle citazioni cinematografiche in cui si riversa la notoria passione dell’autore per il cinema (che, come sappiamo, si è da tempo messo alla prova con successo anche come regista). Coinvolgono i ricordi, le immagini, le battute, legati all’affascinante mondo della settima arte. Particolarmente commoventi risultano anche i dialoghi immaginari con Nik Novecento: promettente attore prematuramente scomparso. Lo stesso si può dire dei riferimenti al celebre capolavoro di Ettore Scola e del cinema italiano C’eravamo tanto amati. In proposito, assai toccante è anche un bizzarro dialogo nella location di quella che sul grande schermo fu (l’indimenticabile per i cinefili) trattoria del “re della mezza porzione”.