Il caso dei cioccolatini avvelenati (di Anthony Berkeley)

Quando la gola è un peccato mortale … ovvero sei personaggi in cerca di un avvelenatore

Una scatola di cioccolatini spedita all’indirizzo di un prestigioso club londinese. Un’innocua scommessa fra due coniugi che si rivela per la moglie una partita persa in partenza con la morte. I sei componenti del Circolo del Crimine che si cimentano nell’impresa, ciascuno per proprio conto, di scoprire la verità su una tragedia che si dimostra essere un omicidio, in soccorso di una polizia le cui indagini sembrano essersi arenate ad un punto morto. Un giallo che avrà una serie di epiloghi, uno solo dei quali è quello vero, munito dell’esatta risoluzione del mistero.

Questi sono gli ingredienti di uno dei romanzi più riusciti di un autore versatile (è stato anche giornalista, autore di articoli umoristici e critico).

Si tratta di ingredienti anche in senso letterale: veleno camuffato da liquore che costituisce il ripieno dei cioccolatini. Sono quelli del giallo più classico in cui va in scena il delitto con l’arma dell’avvelenamento, arricchito da diversi elementi di originalità, a cominciare dall’insolita conduzione dell’indagine.
Si potrebbe parlare di cold case, o meglio di un morte misteriosa avvenuta fuori dalla narrazione. Quando la nostra storia inizia infatti l’omicidio è stato già consumato e sulle sue circostanze viene relazionato da un ispettore di polizia.

I sei detective dilettanti cominciano a disquisire del giusto metodo d’indagine (induttivo o deduttivo), a soppesare la maggior o minor rilevanza di prove materiali o psicologiche. L’investigazione viene definita da qualcuno dei nostri “un buon esercizio di criminologia”, un “esperimento”. In questo Circolo del Crimine, il crimine è un circolo vizioso e i nostri segugi, nel loro scalpitare per tagliare per primi il traguardo, non si risparmiano bassezze morali tramite parole e sguardi in genere mascherati da atteggiamenti improntati al più encomiabile bon ton.

La struttura narrativa è del tutto peculiare: in certo modo si bipartisce in due ambiti autonomi e allo stesso tempo profondamente interconnessi.

Da una parte abbiamo questo cenacolo di appassionati del delitto, ciascuno dei quali, ha a diposizione una serata per il suo show, durante il quale ricostruisce l’accaduto e serve su un piatto d’argento la soluzione ai soci e avversari, sperando di convincerli che è quella giusta e a informare perciò la polizia affinché arresti il colpevole.

Sull’altro fronte abbiamo i personaggi più strettamente legati alla tragedia e all’ambiente della vittima, che appaiono nelle ipotesi ricostruttive imbastite dai sei investigatori dilettanti.

In un crescendo di suspense, si assiste a una progressiva contaminazione fra i due piani narrativi, alla scoperta di coinvolgimenti di vario tipo fra i detective e la vittima.

La nostra combriccola investigativa assomiglia a una giuria di pari chiamati a giudicare l’imputato di turno, citando “casi paralleli” di avvelenamento, sempre in ossequio tuttavia all’idea di un gioco, un mero divertissement, che delizia costoro non meno di chi legge. Eppure, quando sopraggiunge la verità, il vincitore di questa sfida la difende accanitamente come un antidoto a quel veleno che ha già ucciso nella finzione e che non deve farlo anche al di fuori di essa annientando il diritto del lettore di veder esaudita la sua sete di giustizia letteraria.