Il senso comune (di Adriana Capogrosso)

Un seducente giallo storico partenopeo che non disdegna le suggestive atmosfere del feuilleton. Un romanzo che incanta come la città al centro della narrazione. Una ragazza coraggiosa che sfida il mistero e prima ancora le più radicate convenzioni sociali

Napoli, 1840. Quando la giovane Carolina De Marinis esce da un prestigioso educandato e ritorna nell’aristocratica residenza di famiglia, il suo destino sembra segnato. L’aspetta il futuro matrimonio con un giovane di pari rango, nonostante la strana malattia che all’improvviso trasforma il suo viso in maniera mostruosa. In realtà la baronessina ha altri progetti: essere libera, girare il mondo, scrivere poesie, leggere libri considerati non consoni alla sua posizione. Da qui all’assunzione di una nuova identità il passo è breve. Si traveste da ragazzo per frequentare i quartieri più brulicanti di vita e segreti. L’unica persona a conoscenza del suo segreto è la fidata cugina. Il brivido più grande la ragazza lo vive quando per caso s’imbatte in un omicidio – quello della baronessa d’Aquino e della figlia Lucrezia, che la madre teneva segregata e che nessuno ha mai visto – dai risvolti tutt’altro che chiari. Da questo momento la doppia vita della giovane donna si consolida in maniera decisiva: in casa, Carolina, è una devota signorina di buona famiglia; fuori interpreta il ruolo di Nando, ragazzo del popolo sfrontato e temerario che aiuta il giovane agente Vitagliano (al cui fascino lei si dimostra tutt’altro che immune) nelle difficili indagini. Dopo una serie di emozionanti avventure e peripezie, la ragazza riuscirà a scoprire la verità e forse anche il suo vero ruolo nel mondo.

Questo romanzo tiene il lettore col fiato sospeso dall’inizio alla fine. Ogni pagina è cosparsa di humor e amarezza. La suspense si alterna a momenti più leggeri e divertenti, gli inesauribili colpi di scena a momenti di riflessione, gioia, dolore, dubbio, terrore vissuti dalla protagonista che con la sua intrigante prospettiva di io narrante trascina il lettore dentro la storia con un alto grado di partecipazione.

Le diverse ambientazioni (dalle dimore principesche ai vicoli dove si annida la più tetra miseria fisica e umana) e i personaggi di estrazione sociale più disparata (dalla più insigne aristocrazia alle classi sociali più umili e angariate) sono dipinti con colori nitidi e accurate sfumature, che conferiscono alla narrazione un alto grado di realismo e accrescono il livello di coinvolgimento.

Set e protagonista fondamentali di questa storia è Napoli: dolente e suggestiva, palese ed enigmatica, feroce e intrisa di umanità, dove al fondo anche del più nero dei drammi si può spesso scorgere la voglia di riscatto e percepire una carica di ironia.

Appassiona l’improbabile quanto affiatata coppia investigativa formata dal giovane poliziotto e dall’audace ragazza della buona società, entrambi guidati da intuito, ostinazione e un sincero anelito di giustizia. Coinvolge soprattutto la nostra Carolina, sorta di femminista ante litteram, che affronta con coraggio i misteri più ingarbugliati, e prima ancora il più pervicace senso comune (a cui fa riferimento il titolo), decisa ad affermare il suo ruolo in quanto donna: una sfida questa che ancora oggi pare per molti versi tutt’altro che vinta.