L’ultima città gentile (di Giovanni Scipioni)

Thriller distopico. Favola fantascientifica. Un romanzo, dotato di una sorprendente originalità, in cui si possono vedere parallelismi con alcuni grandi capolavori. Un libro che intriga e fa riflettere. Una vivida allegoria del presente e del passato nella quale si riflettono anche inquietanti scenari futuri

La città di Godborg, che, in considerazione della natura sua e dei suoi abitanti può definirsi anche la Città Gentile, è il sorprendente frutto di un esperimento di un gruppo di lungimiranti scienziati che hanno inteso riprodurre in una lontana galassia una nuova civitas a seguito della terribile devastazione della Terra ad opera di un virus letale. La città è abitata da esseri viventi modellati partendo dall’essenza delle piante, plasmati con la clorofilla. Questo nuovo tipo di umanità non conosce né il dolore né la cattiveria, non conserva ricordi della propria natura artificiale, sembra ignorare la stessa esistenza della Terra. Tutto pare procedere per il meglio e con la massima tranquillità, quando cominciano a verificarsi strani omicidi, suicidi e sparizioni. Quello che sembrava un eterno eden forse si è inopinatamente trasformato un irreversibile paradiso perduto. A indagare è chiamato Alexander: commissario di polizia e unico abitante umano di Godborg. Alla fine la verità verrà a galla. E forse niente sarà più come prima. O magari cambierà la percezione della realtà, potrà essere vista da impreviste prospettive, con una nuova consapevolezza.

Il libro coinvolge e sorprende dalla prima all’ultima pagina. La suspense è assicurata in pieno, come nei miglior thriller. L’epilogo è inatteso e contiene una serie di colpi di scena, come nei gialli più riusciti. I personaggi hanno un indubbio spessore, le loro psicologie sono finemente cesellate.

L’autore è come se mescolasse e amalgamasse sapientemente vari autori e opere che hanno fatto la storia della fantascienza e del fantastico in generale.

Gli abitanti di Godborg non possono non far pensare ai tanti romanzi e racconti di Philip J. Dick ambientati in futuri distopici, ai suoi robot umanoidi: troppo simili all’uomo, sia fuori che dentro, riprogrammati per ingannare il loro stesso creatore.

Impossibile non ravvedere certi parallelismi con il Jack Finney de L’invasione degli ultracorpi. La nuova umanità per cui è stata concepita Godborg può per certi versi ricordare quella stessa subdola progenie che in quell’indimenticabile capolavoro arriva tramite spore dallo spazio profondo e germina sulla Terra per sostituire progressivamente il genere umano. Nonostante i due tipi di colonizzazione sembrino procedere in senso per certi versi opposto, gli esiti sembrano avere innegabili punti di contatto.

Né si possono ignorare le analogie con il Calvino de Le città invisibili, non appena ci immergiamo in queste prospettive illusorie, labirinti mutevoli: suggestive location che non esistono e probabilmente mai esisteranno ma che l’autore è capace di farci vedere come reali.

Il lettore può abitare con pieno appagamento questa affascinante città finché non richiude l’ultima pagina del libro, e anche oltre, conscio che si tratta di un mondo di carta, ma allo stesso tempo conservando negli occhi e nella mente questa potente e ammaliante allegoria che racconta soprattutto delle debolezze e follie degli esseri umani, i quali – forse anche grazie ad esse – possono definirsi a tutti gli effetti tali.