Il settebello (di Alessandro Varaldo)

Tre moschettieri più signora e gendarme contro gli oscuri intrighi dell’Urbe

Quattro giovani amici nella Roma del 1930 un bel giorno si trovano a varcare la soglia di un appartamento dove rinvengono un cadavere sospetto e una ragazza vittima di un tentato omicidio oltre che affetta da amnesia. Il quartetto – tre uomini più una donna – non possono certo immaginare che presto seguiranno una seconda aggressione e anche un sequestro di persona: episodi criminosi che si riveleranno essere soltanto la punta dell’iceberg di una serie di intricati complotti e macchinazioni. Prezioso sarà l’ausilio di un arguto e solerte commissario di polizia ex compagno di studi di uno dei quattro. E sempre più decisive si riveleranno le improvvise apparizioni di un vecchio che pare mimetizzato con i gatti randagi della capitale: uno strano personaggio il cui ruolo è tutt’altro che delineato e che finirà per trovare una compiuta definizione – così come tutto il resto degli attori del dramma e delle bizzarre situazioni – soltanto nel concitato finale.

In questa Urbe abitata da figure che possono richiamare alla mente certe ballate popolari, pare cominciare tutto per gioco. Fin dalle prime pagine, quando i quattro compagni di cene in trattoria evocano il “settebello” (che dà il titolo al libro): una carta da prendere o lasciare (e che a seconda dei casi può far vincere o perdere la partita). Optano per la prima ipotesi, lasciandosi coinvolgere da un inaspettato destino nello strano caso dello “scherzo degli avvisi matrimoniali” e di lì in una serie di incalzanti vicende.

La narrazione procede come un racconto corale, a più voci, quelle dei protagonisti, che si danno il cambio capitolo dopo capitolo per illustrare al lettore le varie sequenze della storia, ciascuno secondo la propria peculiare prospettiva e l’esatto ruolo recitato in questa tragedia criminale, passandosi il testimone finché la staffetta non giunge vittoriosa al traguardo.

Un romanzo che appassiona soprattutto per l’approfondita caratterizzazione psicologica dei personaggi e l’accurata descrizione degli ambienti, per la presentazione della Città Eterna in una versione che potremmo ritenere per molti aspetti inedita: notturna, crepuscolare, ambigua e composita nel continuo alternarsi di residenze sfarzose, dimore umili, precarie o equivoche, nell’intersecarsi delle vite di piccoli borghesi bonari, aristocratici altezzosi, semplici popolani e insidiosi bulli di quartiere.

Non mancano, ad accrescere la tensione narrativa, vicende sentimentali che coinvolgono le esistenze dei protagonisti non meno di una diabolica pianificazione criminale la quale verrà sventata solo al termine di innumerevoli peripezie.

Un romanzo dunque che oggi potrebbe forse definirsi un thriller d’azione. Allo stesso tempo un poliziesco dalla solida struttura che rispetta rigorosamente le regole del genere. Lo lascia già presagire lo strano rinvenimento all’inizio della storia (di cui parlavamo in apertura) che può ricordare i celebri enigmi della camera chiusa della tradizione del giallo classico, seguito da una girandola di avvincenti colpi di scena e quindi da un epilogo in cui il novello quartetto di moschettieri dà la stoccata vincente al male, assolvendo a quella funzione riparatrice che caratterizza spesso la finzione letteraria e la differenzia anche in ciò profondamente dalla vita reale.