L’automa (di John Dickson Carr)

Il tema del doppio genera un triplo colpo di scena

La nostra storia ha inizio con un incontro sgradito. John Farnleigh, signorotto locale inglese, riceve la visita di un certo Patrick Gore, il quale afferma di essere il vero titolare di tutti i suoi diritti e proprietà, in quanto parecchi anni prima, mentre andava in scena l’immane tragedia del Titanic, all’interno dello stesso transatlantico, si sarebbe consumato un altro dramma: uno scambio d’identità a seguito di un tentato omicidio. E qui abbiamo il primo colpo di scena. La narrazione pare dunque incentrata sul tema del doppio, che viene da un lunga tradizione letteraria, e che qui assume una particolare sfumatura – potremmo dire – thriller (per rendere l’idea tramite l’uso di una classificazione di genere che all’epoca aveva ancora da venire).

Ma al lettore è stata riservata una seconda svolta improvvisa. In uno stagno vicino alla residenza di John Farnleigh, viene rinvenuto il suo cadavere con la gola in più punti tagliata. Sembrerebbe trattarsi – soprattutto in base alle testimonianze delle persone che si trovano nei paraggi e a vario titolo coinvolte nella nostra storia – di un delitto impossibile.

Ai primi due interrogativi – in merito a chi sia l’impostore e all’identità dell’assassino – se ne aggiungono altri, che il nostro autore è abile a far affiorare, pagina dopo pagina, come i conigli tirati fuori dal cilindro con rapidità e disinvoltura dalle esperte mani di un prestigiatore.

E’ vero che non si tratta di mistificazione ma piuttosto di amnesia, perché, come salta fuori a un certo punto, il nostro baronetto in realtà non ricorderebbe più niente di quel lontano e tragico passato e ignorerebbe persino la sua stessa reale identità?

Che dire di altre recenti morti misteriose avvenute nei paraggi che evocano il soprannaturale e la stregoneria?

Qual è il meccanismo che aziona “l’automa” del titolo, dall’aspetto femmineo e i capelli biondi, chiuso da anni nella soffitta della nostra dimora patrizia, e perché la soluzione di tale enigma costituisce “la chiave di questo mistero” (come sostiene l’investigatore)?

Quali verità si celano dietro il criptico ricordo di “un cardine che si piega” (il titolo originale dell’opera è The crooked hinge)?

Il nostro autore – uno dei più celebri esponenti del giallo classico – non potrà certamente negare al lettore la risposta a ciascuna delle domande di cui ha riempito e nutrito la narrazione. Al termine di un itinerario disseminato di svolte improvvise, trame e sottotrame, indagini ufficiali e investigazioni correlate, non mancherà di gratificarlo con un traguardo finale dove ogni metro del percorso diventa lineare e rivela la sua ragione d’essere.

In un romanzo che attribuisce un posto di rilievo al tema del simulacro e del soprannaturale (reale o evocato che sia), non si snatura tuttavia la struttura del tipico giallo deduttivo, ma semmai in qualche modo si rafforza e si accresce la suspense.

E alla fine perciò il lettore potrà ancora una volta sorprendersi, stavolta più che mai, quando l’autore gli offrirà la soluzione dell’enigma, o, per l’esattezza, dei multipli rebus strettamente connessi quali componenti di un’unica formidabile sciarada.